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In Europa medievale compaiono
le prime sculture a tutto
tondo circa nel XII secolo,
soppiantando con plasticità i
lavori rigidi a rilievo della
precedente cultura barbarica.
Ancor meno nei territori di
cultura islamica, non vi sono
riscontri di scultura, essendo
ivi preclusa la facoltà di
riprodurre la figura umana per
veto religioso. Un caso a sé
scaturisce, probabilmente dal
connubio culturale dell’arte
espressa da alcuni artisti
egiziani assoggettati
all’Islam di provenienza
Fatimide (969-1171), presenti
in Sicilia e nei paesi iberici
nei secoli X-XII che hanno
ritratto diverse
raffigurazioni umane che
conosciamo dai dipinti dei
soffitti detti ‘Maqarnas’
(stalattiti) della Cattedrale
di Palermo. Delicate scene di
vita di corte, come uomini che
giocano a scacchi o un
musicista dedito a suonare
un’arpa. La tesi che viene
oggi proposta, nella possibile
attribuzione di paternità di
due sculture in ceramica,
risulta estremamente impervia
in quanto struttura e volti di
queste teste scolpite
esprimono con modernità e
freschezza, la fisionomia
probabilmente ritrattistica di
personaggi di corte o comunque
appartenenti ad alto
lignaggio, in un periodo che
di ‘ritrattistica’ non vi sono
raffronti conosciuti. Delle
particolari corone a ‘fascia’
cingono i capi dei personaggi,
forse rappresentative di
diademi in metallo prezioso.
Le due corone recano entrambe
un disco centrale sopra la
fronte. Il collegamento con il
‘disco di Horus’ raffigurante
il Sole , presente nelle
raffigurazioni di cultura
egizia, viene immediato e
rafforza la tesi della
probabile provenienza
Fatimide. Queste due teste
furono scolpite nel territorio
siciliano, ove gli arabi
conquistatori si espressero
lontani dalla loro terra di
provenienza, per circa due
secoli, non disdegnando
contatti con la popolazione
autoctona e le maestranze
bizantine ed egizie,
miscelando un amalgama
culturale unico e ad oggi
praticamente sconosciuto. La
scoperta di questa coppia di
teste in terracotta invetriata
a grandezza naturale,
provenienti da collezione
privata siciliana, risultano
databili tra il X e XII secolo
e mostrano esternamente una
delicata vetrina verde-azzurra
che ricorda la tipologia di
smalto presente in diverse
antiche sculture
miniaturizzate egizie, ovvero
le statuette votive dette
‘Uschabti’. Questi ‘Uschabti’
con vetrina coprente,
applicata sulle sculture in
miniatura è realizzata con una
raffinata tecnica che
mischiava in fusione materiale
sabbioso (silice) alla soda ed
a pigmenti di Lapislazzuli o
di azzurrite con 2/100 di
rame. Una vetrina che varia
anch’essa dal verde pallido al
celeste scuro sino al blu.
Colori legati all’antico
simbolismo egizio apotropaico,
raffiguranti le magiche
trasparenze dell’acqua e del
cielo. Questa smaltatura
ottenuta con smalti verde-
azzurro propone un concreto
legame che prende vita proprio
dal ricordo delle rive del
Nilo, ove costantemente e per
molti secoli si scolpirono a
migliaia piccole ceramiche
egiziane antropomorfe nel
tempo dei Faraoni, per fare da
guardiani alle sepolture. Si
conoscono diversi oggetti
medievali in ceramica smaltata
celeste ed azzurra sia
Fatimide che di provenienza
persiana, ma non si conoscono
altre sculture raffiguranti
ritratti a tutto tondo. I
colori a smalto delle teste,
ricordano vagamente anche le
ceramiche Kashan o Hasanlu
sempre databili tra il X al
XI secolo, quando i ceramisti
persiani, per competere con i
ceramisti cinesi in epoca Tang
(618-906 d.C) si dedicarono a
prodotti ceramici pregiati
coperti con una vetrina
similare in azzurro-verde di
consistenza spessa (fritta)
che veniva colata sulla
ceramica come una consistente
‘glasse’. La unicità di queste
sculture ci è stata confermata
dagli esperti del Museo Egizio
di Torino a cui sono state
sottoposte in fotografia. Gli
studiosi, la dott.ssa Alice
Salvador e la dot.ssa Alessia
Fassone, pur rilevando la
notevole fattura e la unicità
dei soggetti, non hanno
purtroppo riscontrato
collegamenti con reperti
medievali egizi conosciuti.Le
fasce coronate a diadema che
cingono il capo dei nobili
personaggi, riportano decori
floreali e perlinature . Sulla
fronte si nota un cerchio a
medaglione che raffigura il
disco del ‘Sole’. Questa
simbologia, ripercorre le
testimonianze ‘regali’ di più
antichi personaggi faraonici
nel motivo del ‘terzo occhio’
o l’occhio di Horus,
protettivo ed emblema di
conoscenza e regalità. Non
sono mai state ritrovate
corone egizie antiche nelle
tombe faraoniche o negli scavi
e confrontando le diverse
tipologie delle molteplici
sculture coronate presenti
presso musei e collezioni non
abbiamo nessun raffronto con
reperti di epoca medievale
quindi non vi è la possibilità
di poter effettuare un
confronto. E’ da ritenere che
possa trattarsi della
raffigurazione di un emiro e
della consorte regnanti nel
territorio siciliano durante
la dominazione islamica,
reperti manufatti da
maestranze Fatimidi. Le due
sculture sono state realizzate
vuote all’interno e lo smalto
vetroso coprente ha retto i
secoli in gran parte della
superficie esterna, anche se
la testa della donna ha subito
danni di scrostamento maggiori
rispetto a quella dell’uomo.
Lo spessore della terracotta
varia da circa 2 cm. nella
struttura anteriore, a quasi
3,5 cm. nella parte
posteriore, su cui grava
maggiormente il peso della
massiccia struttura. Una
considerazione andrebbe fatta
riguardo la differente
colorazione dei due
personaggi, ovvero se essa
sia stata determinata da
motivazioni di ‘status’
sociale o religioso differente
e quindi rappresentato con
colori diversi ovvero azzurro
cielo l’Emiro e verde acqua la
consorte. Mentre l’arte in
parte d’Europa si esprimeva
nelle raffigurazioni
barbariche ad altorilievo,
dimentica delle forme a tutto
tondo, queste due teste ,
artisticamente ineccepibili,
manifestano una espressione
moderna e colta, come una
incredibile anticipazione
dell’arte rinascimentale
europea. Le famose ‘graste’
(porta piante) raffiguranti
teste di arabi, vasi che tanta
fortuna hanno avuto nella
ceramica siciliana dal 600’ ai
giorni nostri, specialmente
nella cultura calatina, hanno
in queste due sculture
medievali i loro primi
antenati, nel ricordo di ciò
che è rimasto un ‘simbolo’
nella storia dell’arte fittile
siciliana.
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